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venerdì 26 luglio 2024
"Il sonno dei bambini"
“Il Sonno dei Bambini”, il libro della psicologa Barbara Bove Angeretti da mettere in valigia: perché i genitori non vanno (realmente) mai in vacanza
Non esistono metodi miracolosi o scorciatoie per gestire il sonno dei bambini. Ecco alcuni suggerimenti, frutto della ricerca della psicologa, perfetti da portare sotto l’ombrellone, basati sui concetti di abitudine ed empatia
“Il sonno dei bambini è un momento significativo in cui la genitorialità ha un ruolo fondamentale. A maggior ragione in vacanza, quando saltano le abitudini e vengono meno i riti rassicuranti della quotidianità. E allora la soluzione è una e una soltanto: “aumentare il tempo che si trascorre insieme, i genitori non vanno “realmente” mai in vacanza”.
Ad affermarlo è Barbara Bove Angeretti, ricercatrice, laureata in Psicologia dello Sviluppo, Consulente per il sonno infantile e per l'educazione empatica. Autrice del libro “Il Sonno dei Bambini” che spiega come i genitori possano rispondere in modo positivo ai bisogni dei bambini anche di notte, momento critico che ogni genitore ha dovuto affrontare perché i bambini si svegliano di notte e spesso chiedono il contatto con i genitori.
Con le vacanze alle porte molte famiglie si preparano a gestire i cambiamenti nelle abitudini e nel sonno dei propri bambini. Bove Angeretti spiega come sia molto diffusa la tendenza a credere che esistano metodi efficaci e senza controindicazioni, dispositivi o oggetti specifici per gestire facilmente il sonno dei nostri figli ma nulla come delle corrette abitudini, unite alla rassicurazione e alla vicinanza dei genitori, può essere più efficace per gestire il sonno dei piccoli e anche quello degli adulti perché, diciamolo, se addormentamento e risveglio del piccolo vengono gestiti con serenità, anche la qualità del sonno dei genitori migliora indicibilmente!
Durante l’estate poi, in particolare quando iniziano le ferie, semplici consuetudini (che consentono di scandire a gestire meglio i piccoli come mangiare e dormire sempre alla stessa ora) risultano utili a regolarizzare e rendere più semplice l’organizzazione della vita della famiglia.
Durante le vacanze, aggiunge la psicologa, è più che mai importante passare la maggior parte del tempo con i piccoli, anche senza fare niente di speciale, solo dedicandosi alla relazione familiare.
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mercoledì 11 marzo 2020
L’evoluzione del cyberbullismo
Negli ultimi anni, la sensibilità dell’opinione pubblica
rispetto alle problematiche legate al bullismo scolastico è massima,
soprattutto grazie all’impatto mediatico che alcune vicende hanno avuto. I casi
di bullismo scolastico tradizionale sono notevolmente diminuiti negli ultimi
cinque anni, ma allo stesso tempo, sono emersi gli episodi di cyberbullismo.
A differenza del bullismo “reale”, il cyberbullismo può
raggiungere una vittima indipendentemente dalla sua posizione geografica o dal
momento, ad esempio di ritorno da scuola o persino durante le vacanze con la
famiglia.
Un recente sondaggio ha rilevato che 3
giovani su 10 sono vittime di cyberbullismo che tende soprattutto a
verificarsi nelle scuole. Dunque, il molestatore e la vittima sono generalmente
minorenni e compagni di classe. È possibile che il cyberbullismo si sviluppi
maggiormente dagli 11
ai 13 anni (22,5%) per poi diminuire dai 14 ai 17 anni (17,9%). La presenza
di vittime femminili (20,9%) è maggiore rispetto a quella dei ragazzi
(18,8%), ciò significa che le vittime di cyberbullismo sono ragazze in 3
casi su 5.
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mercoledì 13 novembre 2019
“Ma come fai a far tutto?” affrontare gli impegni della vita quotidiana con stile!
“Ma come fai a far
tutto?” è il titolo di una divertente commedia, che vede
protagonista la Sarah
Jessica Parker
di Sex and The City, ma stavolta nei panni di una mamma
“equilibrista”, costretta a sdoppiarsi per star dietro a tutti
gli impegni, fra lavoro e figli. Una vera e propria super mamma che
può diventare per noi una preziosa fonte di ispirazione! Tutte
possiamo infatti rivederci nel film, per la mole di impegni che
affrontiamo quotidianamente, fra lavoro, bambini, passioni e hobby.
mercoledì 11 settembre 2019
A che età dare lo smartphone ai propri figli ?
A che età dare lo smartphone ai propri figli ? Questa domanda, penso che tutti i genitori se la siano posta e per questo motivo volevo condividere con voi questo studio condotto da Panda Security, in collaborazione con American Academy of Pediatrics, che approfondisce gli effetti da uso del cellulare sullo sviluppo cerebrale dei bambini, e conclude con una serie di consigli per introdurre gradualmente e con consapevolezza l’impiego di questo device.
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lunedì 9 marzo 2015
Educhiamo al conformismo ?
In un noto programma televisivo, una mamma discuteva contro il figlio e contro il pubblico presente, sull'educazione da lei e da suo marito impartita ai loro figli, educazione sia alimentare che nell'ambito sociale. In sostanza la mamma è vegana, insieme al marito, quindi a casa mangiano solo verdura, cereali, legumi e frutta, il figlio più grande l'accusava
martedì 17 febbraio 2015
Passaggio dalla scuola dell'infanzia alla scuola elementare
Non so se il passaggio dalla scuola dell'infanzia alla scuola elementare sia più traumatico per i bambini o per i genitori. Nel mio caso, adesso che Marco è in terza elementare, posso affermare che, è stato più traumatico per me. Se avessi dato più fiducia a mio figlio, se non avessi avuto tanta paura, avrei potuto, in primo luogo, vivere meglio, con più serenità, quei giorni, ma avrei anche potuto scegliere una scuola diversa, per me più comoda perchè vicina al mio lavoro.
giovedì 15 gennaio 2015
Quale scuola superiore scegliere per i nostri figli ?
Stamattina, nel cortile della scuola, ho assistito ad una conversazione alla quale poi inevitabilmente ho partecipato, tra una mamma di un bimbo di terza media e la maestra. La mamma chiedeva consiglio alla ex maestra di sua figlia su quale scuola superiore scegliere per la ragazzina. In questo periodo di iscrizioni scolastiche, questo problema angoscia molte famiglie.
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venerdì 10 ottobre 2014
I bambini e le emozioni
Marco è un bambino molto sensibile, troppo aggiungerei io, perchè la sensibilità è un'arma a doppio taglio, ti fa vedere lontano, ma ti fa anche soffrire molto perchè riesci a percepire qualsiasi cosa che per lo più alla massa sfugge. Penso che all'età di Marco tutti i bambini si emozionino in maniera uguale, naturalmente tutti i bambini che fortunatamente hanno una vita normale. Penso, anche, che la maniera di rapportarsi alle emozioni, si impara nell'ambito familiare, i bambini ci osservano ed assimilano le nostre emozioni, le elaborano per la loro età e le fanno proprie.
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lunedì 24 marzo 2014
Il piacere di essere mamma sempre: Dear Future Mom
Essere mamma è un mestiere difficile, ma lo è ancor di più quando si sa di aspettare, e quindi mettere al mondo, un figlio down; ci vuole tanto coraggio e forza per continuare la gravidanza. L'amore di mamma e papà basterà a crescere questo figlio con la sindrome di down? E che ne sarà del suo futuro ? Come vivrà ? A volte la difficoltà non è nell'accettare la diversità del proprio figlio, ma nel farlo accettare alla comutità al di fuori della famiglia. Questo sconforto iniziale, per fortuna, oggi può essere superato con i tanti mezzi e associazioni a supporto della famiglia, documentandosi tutto può sembrare più semplice. Guardate questo video, distribuito dalla CoorDown Onlus - Coordinamento Nazionale Associazioni delle persone con sindrome di Down, un'associazione leader capofila di un progetto internazionale, che non poteva non avere anche il suo hashtag della campagna Dear future Mom: #DearFutureMom
Dopo aver visto questo video, notate delle diversità ? I bambini e i ragazzi down, sono come tutti gli altri bambini e ragazzi, possono leggere, possono scrivere, possono viaggiare, anche loro si iscriveranno al collocamento per trovare un posto di lavoro, che, con i tempi di oggi, molto probabilmente li allontanerà dalla loro città natia, avranno uno stipendio da utilizzare per divertirsi e una casa da arredare secondo il loro gusto, riempiranno di soddisfazioni i loro genitori, insomma vivranno esattamente come noi. A scuola di Marco ci sono dei bambini down che vedo integrati benissimo, sia nell'ambiente scolastico che alle feste per bambini; ormai penso che la sindrome di down sia soltanto un preconcetto, a volte, purtroppo, ben radicato nella mentalità della gente, ma che nella nostra società civile e progressista non può più esistere.
Articolo sponsorizzato
venerdì 21 marzo 2014
Siete dei genitori empatici ?
La serenità e la tranquillità sono fondamentali durante la crescita dei nostri figli. Loro passano la maggior parte del tempo con noi genitori o almeno, per il loro equilibrio emotivo, dovrebbero e ci guardano, ci spiano quasi e soprattutto ci imitano. Spesso alcuni genitori in base alla esperienza subita a loro volta durante la loro infanzia, risultano essere piuttosto freddi e poco comunicativi, altri, invece, cercano di colmare queste lacune infantili riversando le loro attenzioni sui figli, chi invece ha vissuto una infanzia serena, spesso si mostra ansioso, la verità comportamentale è sempre nel mezzo. Essere genitori empatici, oltre a percepire i bisogni emotivi dei figli, vuol dire anche considerare il figlio
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lunedì 24 febbraio 2014
L'attaccamento ai genitori determina le relazioni future del bambino
Fin dai primi giorni di vita dei nostri bambini è determinante, per la loro vita futura, il rapporto che si instaura con i genitori, spesso non ci pensiamo, non ci diamo importanza, ma in realtà la loro personalità si forma già dai primi mesi. Che grande responsabilità abbiamo noi genitori ! Ma ciò che è peggio è che non esiste un manuale d'uso, non bastano le ricerche da fare in rete, si cerca di dare e di fare il meglio possibile secondo il buon senso di ognuno di noi, a volte anche facendo riferimento alla nostra infanzia e al nostro rapporto sia positivo che negativo, con i nostri genitori.
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mercoledì 22 gennaio 2014
Internet e Facebook se usati male ..........
Per il momento, Marco, utilizza internet solo per fare giochi online, per guardare video di cartoni su Youtube o per guardare e scrivere su questo blog. Operazioni che fa autonomamente ormai, senza essere seguito da me o dal suo papà. A volte, quando gli viene una curiosità, la cerchiamo su internet insieme, tipo la storia dell'uomo primitivo o le immagini delle piramidi, anche se io, essendo di vecchio stampo, cerco subito in libreria qualche libro su ciò che ha suscitato la sua curiosità. Conosce Facebook solo perchè lo sente nominare da noi adulti e per il momento il social network non suscita la sua curiosità.
Molto importante, invece, questo articolo, pescato in rete, sul sito di Quipsicologia , scritto da Rosalia Giammetta che mette i genitori a conoscenza di altri pericoli generati da internet e soprattutto da facebook se i propri figli hanno un profilo sul famoso social network.
Fa bene o fa male? Facebook e gli adolescenti
Domenica, nel corso di un seminario che ho condotto in provincia di Roma, a Sant’Oreste, mi sono scontrata ancora una volta con i pregiudizi che tanti adulti hanno rispetto a Facebook e la paura che provano rispetto al fatto che i loro figli adolescenti hanno un profilo su Facebook: in sintesi, molti genitori ritengono Facebook pericoloso e temono che Facebook faccia male ai loro figli.
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lunedì 28 ottobre 2013
Riconoscere i nidi di qualità
Altro articolo molto attuale e interessante della dott.ssa Eleonora Pellegrini, come fare a riconoscere un nido di qualità a cui affidare i nostri bambini ?
Riconoscere
i nidi di qualità
Le
coppie che iscrivono i figli al nido in genere selezionano la
struttura che più infonde fiducia: le educatrici, la bellezza degli
spazi, la presenza o meno della mensa, le tariffe. Sono aspetti molto
utili per valutare l’ambiente dove verrà inserito il bambino, ma
spesso il genitore senza esperienza non considera che ci sono anche
altri aspetti indice di qualità delle strutture. Diventa utile a
questo punto valutare molteplici fattori. Uno degli indici del
benessere dei bambini è la documentazione fotografica presente al
nido e resa pubblica alla portata e vista di tutti: da lì si
capiscono le attività svolte dai bambini: un nido senza documentazione
fotografica non è indice di qualità. Cosa fanno i bambini? Come
trascorrono le loro mattine? Quali sono le attività? Che materiali
utilizzano? Spesso non ci pensiamo, tuttavia si raccolgono tantissime
informazioni dalla documentazione. Un altro indice di benessere che è
possibile chiedere è la giornata tipo: l’organizzazione delle
varie attività, dai vari giochi, ai laboratori, al pranzo, alla
pulizia. Molto importante è inoltre l’inserimento: un inserimento
troppo veloce o rigidamente strutturato non è indice di qualità..si
seguono i tempi dei bambini e i piccoli hanno tempi e modalità
diverse per fare l’inserimento che non sarà uguale per i bambini
che sono abituati a stare con altri e per quelli che non hanno mai
lasciato i genitori. Utilissima è inoltre una valutazione dei
rapporti numerici educatore-bambino e dei numeri dei gruppi. Infine,
cosa da non sottovalutare, anche le tariffe. Attenzione alle tariffe
troppo ridotte: i costi per le gestioni dei nido sono alti, causa il
rapporto numerico educatore-bambino, i corsi che le educatrici sono
obbligate a seguire (haccp, legge 81, pronto soccorso, antincendio),
il rispetto delle norme della sicurezza e della pulizia: è utile
fare una valutazione tenendo conto sì delle risorse economiche a
disposizione, ma considerando anche la qualità dell’ambiente dove
il bambino verrà iscritto.
Dr.ssa Eleonora Pellegrini
psicologa
email: pellegrinieleonora@alice.it
mercoledì 16 ottobre 2013
L’enuresi nel bambino
Parte da oggi una nuova collaborazione con la psicologa Eleonora Pellegrini, che con i suoi articoli e i suoi consigli, ci aiuterà nel difficile mondo dell'essere genitore.
Ecco una sua breve presentazione:
Mi chiamo Eleonora Pellegrini e vivo e lavoro a Pistoia.
Sono una psicologa (iscr. alb. 4783), laureata Psicologia Clinica e di Comunità all’Università di Firenze e formata in Psicologia Relazionale e Familiare.
Mi occupo di:
- difficoltà familiari, relazionali e di coppia (conflitti di coppia, miglioramento del clima familiare, supporto nei periodi difficili, ecc.);
- supporto nella gestione dei figli (come instaurare e mantenere un buon rapporto, superare i momenti di passaggio e di crisi, adolescenza e conflitti in famiglia, comportamenti devianti e disordini dello sviluppo, problematiche scolastiche e difficoltà di apprendimento, ecc.);
- problematiche individuali (ansia, depressione, elaborazione del lutto, distacchi familiari, dipendenze, separazioni, ecc.);
Svolgo sedute individuali, familiari o di coppia sia in studio che online.
Ho scelto la specializzazione in terapia familiare relazionale poiché credo che non si possa parlare di psicoterapia senza allargare e considerare lo spazio di vita della persona, poiché si possono fare grandi miglioramenti in seduta, ma tali miglioramenti devono essere contestualizzati, è necessario quindi conoscere non solo la storia della persona che viene in terapia, ma anche della famiglia, della coppia, dell’ambiente dove è inserita. Spesso infatti in seduta si presentano persone pensando di avere un problema, ma la maggior parte delle situazioni rivelano che il problema non è nelle persone, ma nelle risposte, nell’ambiente, nell’organizzazione dello spazio dove si trova ad interagire l’individuo.
Ecco il suo articolo, Marco non ha avuto questo problemuccio, ma penso sia molto attuale tra noi genitori:
L’enuresi
nel bambino
L’enuresi
notturna, o pipì a letto, è un fenomeno abbastanza comune: si
verifica almeno una volta al mese nel 10% dei bambini a 6 anni e nel
5% all’età di 10 anni.
L’enuresi
si potrebbe considerare “normale” fino all’età in cui il
controllo minzionale notturno potrebbe non essere ancora stato
acquisito, ovvero fino a 5-6 anni. Questi fenomeni di incontinenza si
verificano quando il bambino dorme e ha sonno profondo che lo porta a
non controllare lo stimolo. Se si verificano queste situazioni, non è
necessario sottoporre il bambino a trattamenti farmacologici. Diversa
è la situazione in cui il bambino continua a bagnare il letto dopo
gli 8 – 10 anni con una frequenza di almeno due volte a settimana.
Di solito si distinguono due tipi di enuresi: primaria quando il
bambino non è mai stato asciutto di notte, secondaria quando il
bambino, in precedenza abile a trattenere la pipì, inizia a bagnare
di nuovo il letto.
Utilissimo
fare vedere al bambino come vero e proprio “traguardo” l’alzarsi
durante la notte per andare al bagno, un altro consiglio è quello di
evitare di dare da bere ai bambini eccessive quantità di liquidi
nelle ore serali. Prima di farli andare a letto è sempre bene che i
bambini vadano alla toilette, inoltre, nel caso la mattina le
lenzuola siano bagnate, bisogna coinvolgere i piccoli, senza dare
l’impressione che sia una punizione, nel riassetto e nel cambio
delle lenzuola.
Dr.ssa Eleonora Pellegrini
psicologa
email: pellegrinieleonora@alice.it
martedì 9 luglio 2013
L’amicizia tra ragazze in adolescenza: la migliore amica
Chi durante l'infanzia o adolescenza non ha mai avuto una migliore amica ?
Penso che la maggior parte di noi l'abbia avuta. Io ho dei bellissimi ricordi legati a quel periodo. Ci siamo conosciute quando io avevo undici anni e lei dodici, ci chiamavano "la bionda e la bruna", inutile dire che stavamo sempre insieme, sotto il sole, sotto la pioggia, noi eravamo li, sempre fuori di casa, in giro.Ribelli a modo nostro, spesso lottavamo contro i mulini a vento. Abbiamo condiviso tutto, esperienze positive ed esperienze negative. Un'amicizia quasi morbosa, definirei oggi, durata quattro anni e poi interrotta da me, che non capii che, in fondo, lei voleva solo proteggermi, nascondendomi fatti relativi al ragazzo che mi piaceva all'epoca. La vita e il lavoro poi hanno fatto il resto separandoci definitivamente, infatti lei a vent'anni si è trasferita a Padova ed io sono rimasta a Bari. Lei è riuscita a realizzare un nostro progetto: scappare da Bari, una città che ci stava troppo stretta per vari motivi. In tutti questi anni, però, ho cercato di mantenere i contatti, almeno con la sua famiglia, e poi proprio grazie a facebook, ci siamo ritrovate, raccontate vent'anni di vita vissuta separatamente e adesso con tanto piacere, ogni volta che lei torna a Bari a trovare la sua famiglia, cerchiamo di incontrarci.
E' stata una bella esperienza, nonostante abbia sofferto molto quando è finita, perche' mi ritrovai sola, smarrita, senza più nessun punto di riferimento.
Adesso, da mamma, mi piacerebbe che mio figlio facesse l'esperienza del "migliore amico" a prescindere da come poi potrebbe finire, penso sia l'unico modo per capire fino in fondo la vera amicizia, oltre alle gioie che regala e che si ricordano per tutta la vita.
Leggete questo articolo, tratto dal sito Quipsicologia, scritto da Rosalia Giammetta:
L’amicizia tra ragazze nella prima adolescenza: la mia migliore amica e io
Nella preadolescenza e durante l’adolescenza, l’amicizia con le coetanee, con altre ragazze, gioca un ruolo fondamentale per capire chi si è, cioè per la costruzione dell’identità. Certo, l’amicizia è importante in tutti i momenti della vita, ma mai come nella prima adolescenza e durante l’adolescenza l’amicizia, si tratti della relazione con la migliore amica o di quella all’interno di un gruppo, influenza così profondamente il nostro sviluppo psicologico e quello sociale.
La vita sociale delle ragazze già nella prima adolescenza, tra i 10 e i 14 anni, ruota intorno alle loro amicizie strette e all’essere accettate dal gruppo delle coetanee. A quest’età sviluppano legami d’amicizia intimi seppure meno stabili di quelli stabiliti dai ragazzi.
Sono gli anni della migliore amica: con lei la relazione è molto intensa, esclusiva. Alla migliore amica si chiede lealtà, aiuto, comprensione. Da lei si vuole essere rassicurati; si cerca conferma rispetto a nuovi comportamenti o nuove esperienze. Soprattutto, con lei si parla, certe di essere capite.
Se per i ragazzi l’amicizia vuol dire fare qualcosa insieme, per le ragazze l’amicizia è stare insieme anche senza uno scopo preciso e parlare, in un perenne racconto di come si è e si vorrebbe essere, di come appaiono gli altri, in un viaggio dentro se stesse per mettere a fuocole esperienze, le emozioni, le idee relative al proprio corpo che cambia, le reazioni suscitate dai ragazzi, il desiderio misto alla paura di muoversi sempre più lontano dai genitori.
L’amicizia tra le ragazze, più di quella tra i ragazzi, è arricchita della condivisione di segreti e il segreto è anch’esso un segno della separazione dai genitori: il segreto indica infatti che i genitori non sono in grado di conoscere ogni cosa attraversi la mente e il cuore della figlia, non sono onniscienti. Condividere un segreto può inoltre consentire di scoprire di non essere le sole ad avere certi dubbi o certi timori e questo rassicura e consola. La violazione di un segreto, il riferirlo ad altri, non può che essere un tradimento imperdonabile. ( continua a leggere )
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venerdì 31 maggio 2013
Educare alle emozioni: come si può fare?
Vi suggerisco la lettura di questo nuovo ed attualissimo articolo di Agnese Festo, psicologa in formazione, che ringrazio per la collaborazione e per gli spunti di riflessione che i suoi articoli scatenano in noi genitori.
Educare
alle emozioni: come si può fare?
Come aiutare i nostri bambini ad
imparare il linguaggio delle emozioni? Qual è il ruolo della
esperienza emotiva nell’infanzia? Come genitori, cosa si può fare?
Gli studiosi sono concordi nell’affermare che la comunicazione emotiva ha un ruolo centrale per lo sviluppo del bambino. La competenza emotiva, ovvero la capacità di esprimere, comprendere e regolare le proprie emozioni, si sviluppa dall’infanzia fino all’adolescenza, ma fin dalla nascita è possibile osservare nel neonato una serie di precursori emotivi centrali nella comunicazione pre-verbale. L’emozione è infatti il canale comunicativo principale nella diade madre-figlio, e proprio per questo la relazione che si crea fra il genitore e il piccolo ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva.
E’ chiaro dunque quale sia l’importanza delle emozioni nella crescita dei piccoli. Ma come genitori, come è possibile supportare e favorire questo sviluppo in modo sano e completo?
Centrale risulta essere in primo luogo la capacità di espressione delle emozioni, positive e negative, da parte della madre e la sua sintonizzazione con i bisogni del bambino. Ad esempio quando il piccolo piange, è fondamentale che la mamma risponda prontamente cercando di regolare l’emozione negativa manifestata dal figlio; altrettanto importante è la risposta coerente alle emozioni di gioia del piccolo, manifestate attraverso sorrisi e vocalizzi.
La regolazione delle emozioni è tanto fondamentale, quanto complessa. Come è possibile dunque mediare questo compito al fine di semplificarlo e rendere il proprio intervento efficace?
In primo luogo è importante che i genitori sfruttino al massimo il momento del gioco, che è il canale di scambio quotidiano fra bambino e adulto e che diventerà successivamente un momento di autoregolazione delle emozioni più intense da parte del bambino stesso. Un altro strumento efficace può essere il disegno delle emozioni, la drammatizzazione con il corpo o con la voce e la lettura di brani nel quale sia presente il linguaggio emotivo e che aiutino i piccoli ad immedesimarsi con gli stati d’animo dei protagonisti.
E’ necessario quindi, che il genitore riconosca fin dalla nascita questo ruolo e investa continuamente in scambi comunicativi che favoriscano lo sviluppo emotivo nel figlio.
Gli studiosi sono concordi nell’affermare che la comunicazione emotiva ha un ruolo centrale per lo sviluppo del bambino. La competenza emotiva, ovvero la capacità di esprimere, comprendere e regolare le proprie emozioni, si sviluppa dall’infanzia fino all’adolescenza, ma fin dalla nascita è possibile osservare nel neonato una serie di precursori emotivi centrali nella comunicazione pre-verbale. L’emozione è infatti il canale comunicativo principale nella diade madre-figlio, e proprio per questo la relazione che si crea fra il genitore e il piccolo ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva.
E’ chiaro dunque quale sia l’importanza delle emozioni nella crescita dei piccoli. Ma come genitori, come è possibile supportare e favorire questo sviluppo in modo sano e completo?
Centrale risulta essere in primo luogo la capacità di espressione delle emozioni, positive e negative, da parte della madre e la sua sintonizzazione con i bisogni del bambino. Ad esempio quando il piccolo piange, è fondamentale che la mamma risponda prontamente cercando di regolare l’emozione negativa manifestata dal figlio; altrettanto importante è la risposta coerente alle emozioni di gioia del piccolo, manifestate attraverso sorrisi e vocalizzi.
La regolazione delle emozioni è tanto fondamentale, quanto complessa. Come è possibile dunque mediare questo compito al fine di semplificarlo e rendere il proprio intervento efficace?
In primo luogo è importante che i genitori sfruttino al massimo il momento del gioco, che è il canale di scambio quotidiano fra bambino e adulto e che diventerà successivamente un momento di autoregolazione delle emozioni più intense da parte del bambino stesso. Un altro strumento efficace può essere il disegno delle emozioni, la drammatizzazione con il corpo o con la voce e la lettura di brani nel quale sia presente il linguaggio emotivo e che aiutino i piccoli ad immedesimarsi con gli stati d’animo dei protagonisti.
E’ necessario quindi, che il genitore riconosca fin dalla nascita questo ruolo e investa continuamente in scambi comunicativi che favoriscano lo sviluppo emotivo nel figlio.
Agnese
Festo - Psicologa in formazione
Per
un primo colloquio gratuito, contattata il SIPO su:
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mercoledì 29 maggio 2013
L'importanza delle regole nell'educazione dei propri figli !
L'educazione, nella nostra società attuale, sembra davvero sia una cosa superata, obsoleta, quasi inutile, ormai vince il più forte, colui che schiaccia i piedi a tutti senza rispetto di nulla. Spesso da genitore, mi pongo questa domanda: "E' davvero utile avere un figlio educato !". Ultimamente qualcuno ha risposto alla mia domanda dicendomi che alla lunga l'educazione trionfa, si preferisce sempre la persona educata.
Con il buon esempio io cerco di educare mio figlio, rendendolo rispettoso verso le persone e i principi fondamentali del nostro costume.
Questo articolo scritto da Cristiana Milla di Quipsicologia.it ci informa sull'importanza delle regole nell'educazione.
Nell’educare i nostri figli perché è così importante la trasmissione delle regole?
Ci sono molti motivi a ragione di questo.Intanto, le regole riducono il caos presente nell’ambiente e forniscono sicurezza; esse, inoltre facilitano il processo di adattamento alla vita sociale e a quella relazionale. Sono infiniti, infatti, i contesti nei quali dobbiamo quotidianamente fare attenzione alle regole: quando siamo in fila in banca e dobbiamo aspettare il nostro turno, quando siamo in macchina e giunti ad un incrocio dobbiamo fermarci al semaforo rosso, quando è ora di mangiare ed è necessario andarsi a lavare le mani, e così via.
Acquisire le regole significa diventare delle persone concrete, positivee sviluppare una sensazione di sicurezza.
Per esempio chi di noi non ricorda la propria madre ripetere fino quasi all’esasperazione: “Metti in ordine la tua camera, te l’ho giù detto mille volte!”, oppure “Quante volte ti ho già detto di non picchiare tuo fratello!”. Certamente ci sarà già capitato, come genitori, di dire le stesse cose ai nostri figli e nello stesso identico modo. E puntualmente, ci sarà anche capitato di non ottenere alcun risultato.
Una domanda allora ci rimbomba continuamente in testa: perché, nell’educare i nostri figli, è così difficile insegnargli le regole?
Per prima cosa non possiamo non pensare al carattere di imposizione e di sforzo talvolta contenuto nel seguire le regole. E poi, ci siamo mai chiesti se la difficoltà può essere dovuta al fatto che nel trasmettere le regole commettiamo degli errori? Per esempio, pensiamo a quando utilizziamo l’espressione verbale: “Ti ho già detto cento volte…”. Frasi di questa natura determinano già nell’interlocutore il risultato di nonascoltare, perché si rivelano inefficaci se non controproducenti. Il bambino infatti tende a farsi questo pensiero: “Tanto me l’ha già detto cento volte, lo sta dicendo ora, sicuramente me lo ripeterà ancora”. ( continua a leggere ........)
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martedì 23 aprile 2013
I disturbi alimentari nei più piccoli
Un altro interessante articolo da leggere molto attentamente di Agnese Festo, psicologa in formazione,
spesso questi particolari ci sfuggono, ma e' opportuno osservare i bambini per capire i loro disagi.
“CIBO-AFFETTO-MESSAGGIO”: i disturbi alimentari nei più piccoli
Si può parlare di disturbi alimentari nei bambini? Da cosa scaturiscono i disordini dell’alimentazione nei più piccoli? Quali sono i fattori di rischio? Come è possibile verificarne l’insorgenza? Cosa possiamo fare come genitori per prevenire o curare tali disturbi?
Si parla spesso di disturbi alimentari negli adolescenti e nei giovani, ma numerosi studi confermano che oggigiorno i disordini nell’alimentazione stanno diventando molto frequenti anche fra i più piccoli. Alcuni studiosi sostengono che il controllo del cibo può essere uno dei primi strumenti che i bambini, soprattutto sotto i 3 anni, utilizzano per dimostrare qualunque sorta di disagio.
I disturbi alimentari dei bambini sono di difficile individuazione e diagnosi; secondo le statistiche al primo posto troviamo l’obesità, seguita da disturbo di alimentazione selettiva, fobia del cibo, alimentazione restrittiva, rifiuto pervasivo del cibo e iperalimentazione compulsiva.
Ciò che sembra accomunare l’insorgenza di tali squilibri è una difficoltà a livello relazionale ed affettivo. La bizzarria, la selettività, la rigidità alimentare e il rifiuto del cibo sono espressioni diverse di una possibile disarmonia della sfera affettiva del bambino, hanno il valore di messaggio e fanno dell’atto nutritivo una prima forma di comunicazione legata alla dimensione emotiva che caratterizza la relazione del bambino con l’ambiente familiare.
Particolare attenzione va posta al fenomeno dell’obesità che risulta strettamente legata allo stress. Alti livelli di stress nei genitori sembrano essere causa, infatti, di un maggior rischio per i figli di essere obesi ed avere comportamenti alimentare scorretti. Tra i fattori di stress dei genitori ci sono la cattiva salute fisica e mentale, i problemi finanziari e l’essere a capo di una famiglia monoparentale, tensioni che vengono percepite ed interpretate dai piccoli e che causano disagio, il quale può manifestarsi nel consumo eccessivo e compulsivo di cibo.
Come genitori, quindi, cosa possiamo fare per prevenire e curare i disturbi alimentari?
In primo luogo è necessaria una sensibilizzazione riguardo a questo tema; l’interpretazione che i genitori danno del rifiuto o della selettività del cibo da parte del bambino è spesso legata al capriccio o all’ostilità del figlio verso di essi. In realtà, come abbiamo sottolineato, il disordine nasconde spesso qualcosa di profondo, un disagio, una manifestazione di uno squilibrio relazionale che trova sfogo nel controllo dell’alimentazione. Quindi è necessario che il genitore osservi con attenzione le abitudini e le modalità di assunzione del cibo e ascolti il proprio bambino, sintonizzi le proprie emozioni con quelle del figlio per percepire le cause più profonde del suo comportamento.
Se, nonostante l’individuazione di un disagio alla base del comportamento alimentare scorretto il disturbo persiste, è necessario consultare un esperto che aiuti il genitore ad intervenire nel modo adeguato.
Agnese Festo - Psicologa in formazione
Per un primo colloquio gratuito, contattata il SIPO su:
www.psicologi-online.it
martedì 19 marzo 2013
Gelosia tra fratelli: limitante o costruttiva?
Sesto preziosissimo ed interessante articolo di Agnese Festo psicologa in formazione, un argomento molto attuale che noi genitori ci troviamo spesso ad affrontare e cercare il lato positivo, a volte, non e' davvero semplice.
Gelosia tra fratelli: limitante o costruttiva?
Perché i fratelli maggiori sono gelosi dei nuovi arrivati? Come fare a risolvere la gelosia? Contrastarla o accoglierla e capirla? Perché è più frequente nei primogeniti piuttosto che nei fratelli minori? Come genitori cosa possiamo fare per risolvere i litigi fra i nostri figli?
La gelosia fra fratelli è un evento molto comune che tocca l’equilibrio di tutte le famiglie. In particolare è un sentimento che si manifesta quando il figlio unico deve accogliere il nuovo fratellino e realizza che non sarà più il centro delle attenzioni di mamma e papà, ma dovrà "spartire" l’affetto genitoriale con qualcun altro.
Quello che accade nella sua psiche e nel suo inconscio spesso non emerge e non si vede, ma tutti gli studi di psicologia infantile ce lo confermano e ci insegnano che tutti i bambini ne soffrono e oltre ad essere una cosa del tutto naturale, è anche positiva per lo sviluppo della personalità del bambino, meglio ancora se capace di esprimerla attraverso capricci, ricerche di attenzioni, rabbia inspiegabile e regressioni di alcuni comportamenti. Ciò che è fondamentale è che i genitori sappiano rispondere in modo adeguato a queste manifestazioni cogliendo il momento di difficoltà come momento di crescita nella relazione con i bambini.
Sono molti i segni che possono essere espressione di un sentimento di gelosia, fra questi atteggiamenti ostili, prese in giro, isolamento, regressione in alcune acquisizioni già consolidate, aggressività, comportamenti crudeli e distruttivi, espressioni di odio, risentimento, invidia o eccessiva dipendenza.
Un bambino geloso prova paura ed insicurezza poichè teme di non più essere amato. Per questo è necessario che i genitori capiscano che il bambino sta passando un momento triste e difficile e ciò di cui ha bisogno sono comprensione e fiducia piuttosto che giudizio o castighi.
In tutti i casi non serve spiegare logicamente che i genitori amano i figli allo stesso modo e il piccolo ha necessità di attenzioni maggiori per via dell’età. I bambini non ragionano in modo razionale ed è perciò necessario agire con piccoli gesti ed attenzioni.
Può essere utile cercare una relazione individualizzata con entrambi figli considerando le caratteristiche personali e il valore di ciascuno, dedicando tempo ad ognuno di loro e sottolineando le qualità positive. Mamma e papà devono aiutare i piccoli ad aumentare la fiducia nelle proprie capacità mostrando loro affetto, lode e considerazione.
I genitori possono inoltre guidare la relazione fra i fratelli senza mai intromettersi; ricordate che i litigi e le discussioni continue sono normali! Quando entrambi i bambini fanno qualcosa di sbagliato, inoltre, è necessario riprenderli e correggere tutti e due, non solo quello più grande.
Sarebbe opportuno guidare attività ludiche in cui il fratello maggiore possa scaricare la sua gelosia (disegni, attività fisica e creativa) ed aiutare i fratellini ad avere amici, interessi e sport diversi che permettano loro di sperimentarsi e di consolidare una buona autostima.
Agnese Festo - Psicologa in formazione
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lunedì 25 febbraio 2013
"Mamma! Lui è il mio nuovo amico!" Qual è il ruolo dell’amicizia nella prima infanzia?
Leggete questo articolo molto interessante, che riguarda tutti noi genitori.
Ringrazio Agnese Festo, psicologa in formazione, per la sua collaborazione e per gli spunti di riflessione, che, ogni volta con i suoi articoli, ci propone e ci induce a meditare.
"Mamma! Lui è il mio nuovo amico!"
Qual è il ruolo dell’amicizia nella prima infanzia?
Qual è il ruolo dell’amicizia nell’infanzia? Quando nascono le prime amicizie? Che ruolo hanno i coetanei per i nostri figli? Che importanza hanno le relazioni fra pari? Come genitori come è meglio comportarsi rispetto alle amicizie dei piccoli?
Secondo molti studiosi le prime amicizie nascono già all’asilo nido. I bambini si cercano e dimostrano preferenze per alcuni coetanei piuttosto che per altri. Da alcune ricerche emerge che le prime relazioni tra pari hanno un ruolo emotivo particolare: i piccoli traggono conforto proprio da queste interazioni e vi si rifugiano soprattutto in quei momenti critici quali ad esempio il distacco dalla mamma.
Non si può ancora parlare di affetto consapevole ma è evidente come nascano forti sentimenti di simpatia e dipendenza.
Questi primi sentimenti fra pari vengono poi coltivati nella scuola dell’infanzia dove trovano terreno su cui svilupparsi o crescere. È proprio all’età di 3-6 anni che i bambini iniziano a sviluppare simpatie ed antipatie per i pari, creare rapporti più stabili e sperimentare relazioni sociali esterne alla famiglia: la scuola dell’infanzia è un parco giochi di relazioni, dove il bambino può imparare diverse modalità di interazione e scambio mettendo in gioco il proprio sé e verificando la risposta dell’altro al proprio comportamento. In questo senso è fondamentale che gli adulti favoriscano questi primi rapporti e appoggino i bambini a coltivarli anche all’esterno del contesto scolastico.
Ciò che segna il passaggio alla fanciullezza nelle amicizie fra i bambini è la comparsa dell’ intimità che prima era solo abbozzata: la scoperta di una parte di sè riservata da condividere con l’amico autentico.
Nella scuola primaria l’amicizia è quasi sempre fra bambini dello stesso sesso e ha occasione di manifestarsi particolarmente nei momenti di ricreazione, nei piccoli gruppi e nelle occasioni informali.
E’ grazie a queste esperienze di legame che il bambino prova cosa significano termini quali "fedeltà", "lealtà", "fiducia", "esclusività", aspetti che diventeranno importantissimi durante la preadolescenza.
E’ chiaro quindi quanto le relazioni fra pari anche nella prima infanzia siano fondamentali per la crescita sociale e relazionale del bambino e per un sano sviluppo emotivo. Negli amici i nostri piccoli trovano un conforto che a volte può mancare in famiglia, trovano comprensione e condivisione per quei piccoli-grandi problemi che nonostante le intenzioni, gli adulti non possono capire.
Risulta essere fondamentale dunque che i genitori favoriscano le amicizie dei figli evitando l’isolamento
sociale all’esterno della scuola ma aiutandoli a creare spazi e momenti di condivisione anche in contesti differenti, al fine di contribuire ad un’esperienza di interazione fondamentale al loro sviluppo.
Agnese Festo - Psicologa in formazione
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